IL CASO DI MOTTA DI LIVENZA

Mi ha colpito molto la vicenda di Motta di Livenza. Fin da subito non ho creduto alla versione ufficiale dei quotidiani locali: il titolare di un’officina (Giovanni Armellin) sarebbe morto dopo essere caduto dalla motocross che stava testando a pochi metri dal proprio luogo lavorativo. I parenti stretti della vittima sapevano che lui non era un folle e che non avrebbe mai tentato un numero alla Travis Pastrana per saltare il canale. Dato che negli ultimi tempi ci sono state delle alluvioni, il meteo non era ottimale e a maggior ragione non si deve rischiare, oltretutto la strada è piena di canali ed è stretta, quindi non invita a fare gesti folli. Come già sostenuto dall’Avv. Paolo Franceschetti, la moto con il pilota vista dall’alto ricorda la croce e cross tradotto dall’inglese significa per l’appunto croce, inoltre che uno cada in via Cadamure nella città della Madonna di Motta è un indizio che richiama il delitto rituale, così come che la vittima è deceduta mentre praticava la propria passione. Escludendo sabotaggi alla moto, dovrebbe essere presa in considerazione la pista del pirata della strada a trazione massonica. Non a caso infatti a dirigere le indagini non è il gruppo investigativo di Oderzo, ma quello di Conegliano, località con colori gialloblù massonici che dista in media 33 km dal luogo del misfatto. La numerologia non mente e per avere un’ulteriore certezza ho dovuto fare l’indagine sul campo, in stile Michele Giuttari del GIDES. A ridosso di via Cadamure ho notato ben presto un sospetto, che viaggiava a velocità folli a bordo di una Renault Clio RS bianca. Da notare il logo rosacrociano RC ed il fatto che questo pazzo per poco non mi andava addosso, mostrando scarso rispetto per le vite altrui e dimostrando di essere una bomba ad orologeria pronta a scoppiare.

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